giovedì 28 febbraio 2008

….“è finita la modernità liquida” disse l’uomo sull’albero maestro. Ma cosa ci faceva li?....

COME IL POSTMODERNO E’ DIVENUTO IL RECINTO DELL’OLTRE UOMO




Molti autori sostengono che la contemporaneità che tutti noi viviamo (1) , questa condizione dalla quale scaturirebbero le nostre azioni, i nostri pensieri a livello subliminale, come se si trattasse di un grande inconscio in cui tutti siamo immersi, una sorta di lago (2) in cui ci bagniamo,ci tuffiamo o che temiamo per i “mostri” che lo abitano, sarebbe postmoderna o della modernità liquida (3).


Una delle caratteristiche della condizione postmoderna è la sua invisibilità da lontano e la sua inconsistenza da vicino. L’unica cosa che possiamo dire è che essa è bagnata, nel senso di liquida, cioè la avvertiamo come sensazione ma essa è intangibile, non rappresentata ma soltanto percepita una volta attraversata, è appunto una condizione, uno stato dell’essere.

In questa condizione gli uomini sembrano vivere senza riferimento alcuno. Gli uomini hanno rovesciato i valori in disvalori e ora tra i primi e i secondi non sanno più come scegliere. Nell’incertezza li ammettono tutti, purchè rispettino la regola dell’assenza di gerarchia valoriale. Tutti sullo stesso piano. Il postmoderno abbatte le distanze e le differenza, da quando poi ha prodotto la globalizzazione è chiaro a tutti che il mondo è piatto.(4)



Non vi sono più modelli da seguire, idoli che impongano paura per distribuire sicurezza, stelle che possano tracciare la rotta, capi da imitare e rispetto ai quali porsi in una condizione di subordinazione o di alternativa, non vi sono più contrasti, forze che si premono, ma tutto è così appunto immerso nel liquido. Le idee, i movimenti, le azioni, a volte sono onde sul lago, altre volte correnti dello stesso, ma finiscono, si mescolano si placano, smettono ad agire come forze autonome si interelazionano, si configurano diventano parte della condizione, sono il postmoderno.


E pur tuttavia esse comunicano tra di loro condividono uno stesso flusso di comunicazione. Tale flusso è costituito dai giochi logico-matematico-formali, cioè da una metodologia attraverso le quali le parti del tutto tendono a rafforzarsi, a vincersi nello scontro, cercando di assumere maggiore consistenza. Tale linguaggio, è totalitaristico, poiché limita la libertà di espressione delle parti, e così facendo veicola anche i contenuti che esse possono comunicare. Il linguaggio formale infatti ha la capacità di modificare fortemente il contenuto che attraverso esso è possibile produrre e veicolare. Si crea così una comunicazione governata da una forza superiore, il totalitarismo metodologico, che è il metodo della comunicazione che però nello stesso tempo definisce anche il requisito per l’esistenza degli enti comunicanti e dell’oggetto comunicato. Se non si accettano le regole metodologiche non si esiste, gli enti sono privi di forza, non si ritrovano cioè come conseguenza della condizione postmoderna, sono fuori del lago e diventano oggetti comuni, già vissuti, “moderni “ nel senso più spregiativo del termine.

Tuttavia il totalitarismo metodologico, il metodologismo logico-formale è la fine della modernità liquida. Indica cioè il suo confine, il suo recinto il suo limite territoriale.

Non c’è più quindi un racconto, una massa, un gruppo, ma l’isolamento delle singoli parti, configurabile in diversi modi che oltre una certa densità si fa moltitudine. Le parti ovviamente si combinano economicamente, secondo le regole dell’efficienza, le parti sono subordinate al governo del totalitarismo metodologico.

<< La funzione narrativa perde i suoi funtori, i grandi eroi, i grandi pericoli, i grandi peripli, i grandi fini. Essa si disperde in una nebulosa di elementi linguistici narrativi, ma anche denotativi, prescrittivi, descrittivi, ognuno dei quali veicola della valenze programmatiche sui generis. Ognuno di noi vive al crocevia di molti di questi elementi. Noi non formiamo delle combinazioni linguistiche necessariamente stabili, né le loro proprietà sono necessariamente comunicabili.[…]Esistono molti giochi linguistici differenti, ceh costituiscono l’eterogeneità degli elementi ed i giochi possono generare istituzioni solo attraverso un reticolo di piastrine, che costituisce il determinismo locale>> (5)


Questa condizione della linguistica, è tale per cui la comunicazione non è più uno strumento della percezione dialogica (6), ma è posta in una dinamica competitiva. La parola, strumentalizzata nella perdita del senso valoriale (7) , è un’arma da utilizzare per vincere nel gioco linguistico contro l’avversario. L’uomo “oltre-uomo” avendo messo sullo stesso piano valori e disvalori li unisce, li connette secondo il criterio dell’efficienza, per creare tecniche, tecnologie, oggetti economicamente normati, che possano accrescere la propria condizione di sicurezza, il proprio benessere attribuendo uno status superiore rispetto agli altri uomini. Nella metodologia di costruzione di questa infrastruttura tecno-economica egli incontra il limite, il proprio recinto, quelll’assenza di meta narrazioni che è il postmoderno non ha libera l’uomo, ma lo ha sottoposto ad una prigionia ancora più forte, poiché ceca e subliminale, disumana nella sua determinazione sociale, ovvero il totalitarismo metodologico esercitato per il tramite del governo della tecnostruttura.



I valori e i disvalori sono dunque la materia con cui si costruisce, sotto le regole del totalitarismo metodologico, la strumentazione di dominio e di controllo della ricchezza ,dei territori e delle istituzioni. Si tratta di una impostazione che non accetta altra determinazione valoriale che il dominio e l’egemonia di un uomo sull’altro uomo , poiché in questi casi non si può dire che vi sia un dialogo, con descrizione di una idea, ma piuttosto una gara, e quindi l’impostazione di una situazione i cui a somma zero, v’è chi vince e chi perde. In questa dimensione non può esistere una dimensione pubblica o politica, con riferimento al governo della città, dei beni comuni, perché il gioco a somma zero spinge gli uomini alla privatizzazione alla cacciata di altre donne e uomini alla costruzione di enti privati o di beni da club-tribali.


Si è persa dunque nel postmoderno , come annichilimento della comunicazione attiva e morte del soggetto la funzione dialogica liberale-non liberista (8) , di derivazione classica.



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(1)Anche se non contemporaneamente, ma più che altro contiguamente, sicchè sarebbe possibile parlare di contuiguitaneità.
(2) Perché abbiamo definito la condizione postmoderna come un lago e non come un fiume o come un mare, o un oceano? Essa è un lago perché non tutti la vedono, è elitaria nella sua determinazione esistenziale, è la coscienza di quei pochi uomini che svolgono la funzione del governo della globalizzazione. Essa non è un fiume, perché non scorre, dalla montagna alla valle, cioè non individua un ordinamento gerarchico della società, o una idea di progresso storico. Essa non è un mare né un oceano, perché non è così fruibile a tutti gli uomini né così ricca di nutrimento, avendo il postmoderno creato la globalizzazione che ha aumentato la disuguaglianza sociale.
(3) Sulla concezione della modernità liquida confrontare Zygmut Bauman, La modernità liquida, Bari, Laterza,2006 , sulla concezione del postmoderno confrontare Jean Francois Lyotard, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 2002.
(4)Cfr Thomas L. Friedman, Il mondo è piatto, Milano, Mondandori, 2007.
(5) Lyotard, “la condizione postmoderna”, Milano, Feltrinelli, 2007, pag 6.
(6)Il dialogo viene realizzato avendo attenzione non per la vittoria del gioco linguistico ma per la creazione di una idea comune, attivando la sfera della politica, si accetta l’idea che si possa delineare una idea della collettività, che aggiunga valore a tutti e non solo al singolo o al gruppo vincitore del gioco linguistico, si delinea la condizione del gioco a somma positiva, una prospettiva pragmatica di pacificazione umana.
(7)Relativismo gnoseologico su cui si fonda il postmoderno come incredulità delle meta-narrazioni, cfr Lyotard, op. cit.
(8)Ci si potrebbe domandare a questo punto se è possibile l’esistenza di una società liberale e non liberista. Ebbene dobbiamo dire che certamente si tratta di una possibilità concreta in cui esistano le libertà individuali politiche e non in modo altrettanto forte le libertà individuali economiche legate alla dinamica del capitalismo. Per esempio le società democratiche precapitalistiche erano liberali e non liberiste. Del resto è possibile che esista anche il liberismo senza liberalismo come accade in questo momento storico in cui esistono le libertà economiche ma non le libertà politiche, le quali non possono coesistere con la determinazione della società senza Stato tipica del libertarismo.











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Gli scatti del Pierre