lunedì 17 marzo 2008

Il gioco a somma zero come scelta innaturale

Cerchiamo di mostrare la fallacia della seguente proposizione

1. CHE POSSANO ESISTERE,COME NECESSITA', DEI GIOCHI FINITI QUANTO A RISORSE PRESENTI.

QUESTO E’ VERO MA SOLO SE IPOTIZZIAMO :
a) L’ESISTENZA DELLO STATO CHE CREA CONFINI E LIMITI MATERIALI;
b) L’ESISTENZA DEL GRANDE PREDATORE CHE SOTTRAE RISORSE ACCUMULANDOLE E IMPEDENDO UNA AMMINISTRAZIONE DEI BENI PUBBLICI ADEGUATA.

IPOTESI NUMERO UNO: PRESENZA DELLO STATO-MODERNO


a)LO STATO MODERNO LIMITA, HA NECESSITA’ DI STABILIRE DEI CONFINI ENTRO I QUALI ESERCITARE LA PROPRIA SOVRANITA’, E QUINDI SOTTRAE RISORSE ALLA COLLETTIVITA’ RECANDOLE PRESSO DI SE’ TENTANDO DI IDENTIFICARSI CON LA COLLETTIVITA’ STESSA.
QUESTO TENTATIVO RISULTA FALLIMENTARE, POICHE’ LA SOCIETA’ PURE AVENDO BISOGNO DI UN TOTEM ( LO STATO ) HA BISOGNO ANCHE DI PORSI IN UNA CONDIZIONE DI ALTERITA’ RISPETTO AD ESSO IN MODO TALE DA POTERSI IDENTIFICARE NEL MOMENTO OPPORTUNO QUANDO CIOE’ LE DONNE E GLI UOMINI SI SUBLIMANO NEGLI ENTI COLLETTIVI, NELLA GIUSTIZIA, NELL’ORDINE, NELLA PACE, NELLA FORZA, NELLA SICUREZZA.
PER FARE CIO’ LA SOCIETA’ HA BISOGNO DI SENTIRSI POSTA IN UNA CONDIZIONE DI ALTERITA’ RISPETTO ALLO STATO , A LIVELLO ONTOLOGICO, PURE ACCETTANDO DI ESSERE UNA DIMENSIONE SUBORDINATA QUANDO NASCE IL BISOGNO DEL TOTEM.

E TUTTAVIA QUANDO QUESTO ACCADE LO STATO LIMITA LE RISORSE E QUINDI IN SOSTANZA DISPONE LE PREMESSE PER QUEL GIOCO A SOMMA ZERO CHE COSTITUISCE LA LOTTA PER IL POTERE, PER L’IMPOSIZIONE ALLA SOCIETA’ DELL’UNICO TOTEM POSSIBILE. ECCO DUNQUE CHE LO STATO CREA LE PREMESSA PER IL GIOCO A SOMMA ZERO, UN GIOCO CON RISORSE FINITE CHE IMPONE ALLA SOCIETA’ UNO STATO DI MOBILITAZIONE PERMANENTE, CON DIVERSA INTENSITA’ RISPETTO AL TIPO DI SOCIETA’, DEL COMPLERSSO DEI GIOCATORI CHE SONO PRESENTI NEL GIOCO A SOMMA ZERO.

IPOTESI NUMERO DUE: LA PRESENZA DEL GRANDE PREDATORE


b) IL GRANDE PREDATORE E’ QUELL’ENTE ( ISTITUZIONE O COMPLESSO DI INDIVIDUI ) O QUELL’INDIVIDUO , TALVOLTA PUO’ ESSERE ANCHE LO STATO , CHE SOTTRAE RISORSE PUBLICHE AD UNA COLLETTIVITA’, ALLOCANDOLE PRESSO DI SE’ ATTRAVERSO LA MERA ACCUMULAZIONE. IL GRANDE PREDATORE CREA CIOE’ UN TRADE OFF TRA LE RISORSE CHE EGLI POSSIEDE ( RISORSE NATURALI, FINANZIARIE, MILITARI, SCIENTIFICHE, CAPITALE UMANO) E LE RISORSE CHE RIMANGONO A DISPOSIZIONE DELLA SOCIETA’. COSI’ FACENDO CREA UNA LIMITAZIONE DELLE RISORSE, CHE NON E’ NATURALE MA E’ VOLUTA, E SI GIUNGE IN UNA DINAMICA DI GIOCO A SOMMA ZERO, CON LA CONSEGUENTE TENSIONE NELLA SOCIETA’ PER ACCAPARRARSI LE RISORSE, QUEL CONFLITTO CHE SPINGE INEVITABILMENTE ALL’HOMO HOMINI LUPUS, PER L’ACCUMULAIZONE DI BENI MATERIALI E DI RICCHEZZA PERSONALE.


E’ evidente che l’ipotesi della presenza di un gioco finito quanto a risorse presenti è appunto una ipotesi che viene imposta una condizione accettata dalla società. I membri della collettività si organizzano, più o meno consapevolmente, come giocatori del gioco a somma zero, nel primo caso per l’acquisizione del potere, metaforicamente l’innalzamento del proprio totem, nel secondo caso attraverso la lotta competitiva, nel tentativo di essere il più grande tra i grandi predatori.

Tuttavia queste non sono necessità, ma scelte.L’errore consiste nell’accettare queste rappresentazioni della realtà come naturali. Occorrerebbe invece comprenderne l’artificiosità e disinnescare le cariche negative che in esse sono presenti , dimodochè permangano solo gli elementi utili alla società che nel primo caso sono costituiti dall’ordine, dalla giustizia, dalla sicurezza, e nel secondo sono rappresentati dall’ingegno e dal benessere materiale, le quali circostanze andrebbero unite alla consapevolezza che il gioco a somma zero non esiste nella realtà naturale, ma è una convenzione sociale, che si accetta per potersi meglio concentrare nella determinazione materiale della propria esistenza. Si potrebbe dunque eliminare la tensione alla guerra e al cannibalismo politico-economico militare.

Quale ruolo per la filosofia?

OVVERO COME OVVERO COME LA FILOSOFIA TAPPA I BUCHI DELLE ALTRE SCIENZE ATTRAVERSO UNA COSTANTE LACERAZIONE DI SE STESSA. (1)


Lyotard nella introduzione alla sua opera sostiene che il postmoderno è la condizione del sapere che si è venuta a creare nell’ambito della filosofia intesa come filosofia dell’uomo ovvero concezione unitaria della vita dell’uomo. Questa concezione unitaria non è più fruibile, non è più ammissibile.

La scienza ha bisogno della filosofia perché la seconda legittima la prima.
E tuttavia l’evoluzione del sapere scientifico, che è una funzione del sistema economico , impone allo scienziato la distruzione di una certa filosofia legata ad una certa scienza precedente, rispetto alla quale si vuole cioè realizzare una evoluzione.

Ne deriva che la filosofia perde di credibilità se intesa come visione totale della vita dell’uomo, e allora sono possibili microfilosofie funzionalizzate le cui dinamiche di sviluppo sono legate rispetto alla evoluzione della scienza che è variabile dell’economia.(2)
La filosofia dirime cioè le contraddizioni che esplodono nella contemporaneità, nella contiguitaneità che è costituita nel dominio dell’economia.
L’economia rende la filosofia utile nel momento in cui occorre la ricerca scientifica, poiché essa dirime le contraddizione, le aporie, le lacune tra logica e matematica, ed utile nel momento in cui le innovazioni tecnologiche giungono nel mercato poiché essa, manifestandosi come semiologia, conduce le moltitudini degli uomini-oggetti unitari, soggetti frammentati, a comprendere le utilizzazioni e il feedback sulla vita personale e associata, l’economia rende ancora utile la filosofia quando questa fornisce la giustificazione del potere egemonico per il tramite del concetto di libertà.
La filosofia è una insieme di proposizioni, di segni, di indicazione, una fabbrica di idealtipi, frammentata, che cerca tuttavia di coniugare enti dell’esistenza difficilmente unificabili, ma senza riuscirci fino in fondo, essendo infatti anch’essa sottoposta a quella specializzazione funzionale che consente alla filosofia di svolgere solo il proprio compito e nulla di più, non può più essere enciclopedia, sistema unico, visione della vita, pure continuando a rispondere a domande alle quali il mondo della scienza non ha ancora risposto logicamente o matematicamente, pure continuando a svolgere una funzione ermeneutica rispetto all’innovazione tecnologica, e pure continuando a svolgere una funzione prodromica rispetto alla conservazione del sapere-potere.

La filosofia tenta dunque di unificare parti di conoscenza nelle diverse fasi della evoluzione delle stesse all’interno della produzione economica. Ma in questo tentativo essa si specializza perdendo se stessa. Le fratture che si creano tra le diverse branche della filosofia non sembrano ricubili, e lasciano spazio ad altre funzioni quali per esempio quella teologica, e quella mistica intesa in senso ampio, che oggi ritornano ad avere un significato di vero collante per macrostrutture che tendono ad essere totalizzanti, ma che in realtà non lo sono.

L’unico elemento che possiamo ritrovare in ogni dimensione della vita è quel totalitarismo metodologico, che è un insieme “efficiente” (3) di società aperta e specializzazione e che riguarda il complesso delle azioni sia micro che macro, che riguarda l’uomo, le istituzioni pubbliche, le imprese private, oltre che le associazioni del terzo settore, che divide la società, dissipa la cultura, seziona gli enti , vero strumento di controllo a disposizione della global governance tecno strutturale.











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(1) CONSIDERAZIONI SUPERFICIALI SUGGERITE DALL’AVERE SBIRCIATO NELL’INTRODUZIONE ALL'OPERA LA CONDIZIONE POSTMODERNA DEL FILOSOFO LYOTARD.

(2) E’ evidente che nessuno scienziato può sperare di realizzare ricerca scientifica senza le risorse finanziarie necessarie e senza la protezione accordata dalla istituzione, pubblica o privata, presso la quale opera.

(3) Cioè che persegue un obbiettivo chiaro, vale a dire scalare la classifica quantitativa, vincere le competizioni tra gli enti, e che tuttavia non è una definizione neutrale, ma più che altro di carattere conservativo, poiché utile all’esistente e non ad una sua possibile alternativa. Vale a dire che gli enti della globalizzazione ( imprese, Stato, organizzazioni, moltitudini) si scontrano quantitativamente, cercando di ottenere maggiore potere.

martedì 11 marzo 2008

Postmoderno/condizione postmoderna

Il postmoderno è l'incredilità nei confronti delle metanarrazioni.( Lyotard)
In sintesi si tratta della mancanza di autorevolezza del pensiero e delle azioni "forti" cioè delle visioni e delle politiche militari ed economiche totalizzanti la sostanza della società, che hanno cioè un progetto preciso di cosa deve essere la società intesa nel suo complesso e la direzione che essa deve prendere.
Tuttavia la condizione postmoderna rischia di essere puramente formale perchè l'assenza di credibilità nelle metanarrazioni si accompagna alla presenza di una fede cieca nella tecnica e nella sua pragmatica logico-matematica formale, vale a dire nel totalitarismo metodologico, al quale oggi si demanda il controllo di ogni aspetto della vita umana.
Si è passati cioè da una società orientata a progetti comuni e condivisi ( comunismo, fascismo, emancipazioni umaniste) ad un relativismo in cui l'individuo non mette in discussione la società, ma chiede di essere soddisfatto nelle sue aspettative personali attraverso l'acquisto e il consumo di "metodologie" per il raggiungimento della felicità e del benessere individuale inteso come autonomo, assoluto, slegato dalla felicità altrui o dalla concezione del benessere generale.
Queste metodologie sono derivate dalla scienza economica, ovvero dalla disciplina che viene utilizzata per il governo dell'esistente dai soggetti della global governance tecnostrutturale, che ha imposto come unico criterio di scelta "l'efficienza razionale" dell'homo oeconomicus, la quale si impone erga omnes come nuovo totalitarismo, il totalitarismo metodologico.

Il minimal state come partenza

Partire, nell'analisi economica, da una prospettiva di minimal state significa svolgere il proprio pensiero di politica economica in una ottica libertaria.
Si accetta cioè l'esistenza dello Stato ma solo come una presenza momentanea nell'attesa della sua definitiva sottomissione al mercato e della sua estinzione storica.
Sostenere il minimal state come punto di partenza non significa partire dal minimal state che costituisce l'approdo dei classici, ma piuttosto partire da una analisi libertaria.
I sostenitori del minimal state di partenza pensano infatti che lo Stato non debba svolgere funzioni di controllo del mercato ma debba solo garantire l'amministrazione della giustiza per tutelare i contratti e la proprietà privata nell'aspettativa di una privatizzazione totale della società.