venerdì 14 settembre 2007

La produzione di incertezza

Quello che accade relativamente all’incertezza e al pragmatismo è dovuto in parte ad una necessità di dominio dell’ambiente informativo ( quel complesso di informazioni esterne che sono a fondamento del rapporto con la realtà e che contribuiscono a formare i nostri pensieri o a cambiare la base dei nostri ragionamenti agendo sulle strutture della genesi razionale ) e in parte ad una tensione competitiva che vuole imitare tale posizione di dominio e che inevitabilmente finisce per rafforzare la stessa . Sicchè il capitalismo per il tramite del suo sistema informativo agisce sui cittadini, sui consumatori utilizzando una serie di stimoli e di imput che colpiscono gli aspetti più emozionali e più viscerali dell’uomo e ciò porta lo stesso a reagire immediatamente essendo iperstimolato con un costante cambiamento della sua struttura di pensiero e di priorità essendo guidato dall’impellenza che viene posta attraverso i vari livelli della comunicazione. In questo senso è vera la legge di Say con riferimento al mercato che cioè il mercato attraverso l’offerta mediata informativamente crea la propria domanda ( almeno fino ad un certo punto) e ciò è dimostrato dal fatto che soltanto le imprese pongono le priorità dell’agire comune e condiviso.

La razionalità, intesa come insieme di scelte coerenti e logiche nel tempo, ha perso la propria funzionalità tanto che essa è divenuta sinonimo di ideologia.

Sicchè ne deriva che avere una qualche idea precisa e ragionata, decontestualizzata, relativa per esempio all’assetto della società, a quello che lo stato dovrebbe o non dovrebbe fare, al modo in cui le imprese dovrebbero produrre, cioè alzare almeno un attimo lo sguardo dalla quotidianità mediata informaticamente e dominata dall’es sociale, significa necessariamente essere idealisti. E’ chiaro che il sistema si è formato sulla quotidianità e ha puntato poco sul suo valore per il futuro. Ma pensare al futuro e ad una società caratterizzata da valori condivisi razionali e non solo emotivamente ispirati a necessità di consumo, non significa essere ideologi, ma corrispondere ad un bisogno di civiltà, di continuità, di evoluzione. Significa rimuovere l’incertezza, o parte dell’incertezza legata alla visione del futuro e in questo senso cogliere le opportunità per la creazione e non per il depauperamento delle risorse e dei sistemi sociali a livello mondiale. Invertire l’asse del sistema che lega lo sviluppo dell’umanità al mondo e lo sviluppo delle società evolute rispetto al resto delle altre società, dove cioè si intende la ricchezza della civiltà umana come depauperamento dell’ambiente naturale, e la ricchezza di un gruppo sociale come depauperamento di tutti gli altri gruppi sociali. Pensare ad una idea di società dinamica che leghi positivamente l’umanità alla natura e i gruppi sociali tra loro significa avere una idea di civiltà che non è totalitarista ( o non lo è meno della società intesa come gioco a somma zero) ma che possa consentire agli uomini di vivere al di fuori del fango primordiale delle loro passioni di ricchezza ma pensare anche allo sviluppo futuro ordinato, illuminante e positivo.

In questo senso la politica economica come creazione di regole costitutive di una realtà oggettiva e condivisa è fondamentale non solo per la convivenza, ma anche per lo sviluppo dell’oltre capitalismo, poiché senza ricchezza di visioni umane, sociali, antropologiche, filosofiche, il capitalismo rischia di impoverirsi, di ripiegare su se stesso, di non avere le risorse umane per produrre il suo ulteriore cambiamento. Non bastano infatti le risorse naturali, e il capitale, ormai quelle ci sono a livello mondiale. Oggi quello che manca sono le idee. Le idee di società, le idee di evoluzione e il confronto tra queste che sia dialettico, dialogico e democratico.

domenica 9 settembre 2007

Economia: una scienza giustificazionista, un'arte presuntuosa o uno strumento a difesa della democrazia?

Quello che appare evidente nelle opere degli economisti del dopoguerra ( Gunnar Myrdal a Galbraith anche Chamberlin e tutti gli eterodossi) è la capacità da parte dell’economia di sviluppare pensieri di carattere sistematico al di fuori delle concezioni ortodosse relative al liberismo.

Il fatto che gli economisti debbano accettare necessariamente una impostazione metodologica è un fatto assolutamente illiberale e contrasta con la necessità di sviluppo della scienza e della conoscenza in generale, nonché con la crescita del capitalismo ed in generale dei sistemi economici che sono possibili. Il capitalismo infatti dovrebbe essere quanto più diversificato possibile dimodochè con un ricco corredo genetico possa resistere alle conseguenze destabilizzanti che esistono all’interno dello stesso come è dimostrato dalla storia economica.

Del resto l’analisi teorica in economia non è possibile in quanto se fosse pura e cioè atemporale non sarebbe utile ( e pertanto sarebbe antieconomica rientrerebbe cioè nell’ambito del pensiero utopico ) e del resto se non è pura è sempre in un certo qual senso influenzata dalla questione relativa alla ideologia o al sistema di pensiero dell’economista che vive una realtà storica determinata.

E’ questa infatti quello che rende impossibile fare dell’economia una vera e propria scienza , come la fisica e come la matematica,. Il fatto cioè che l’unica condizione esistenziale utile per l’economia ( l’unico dominio in cui fare esistere il sapere economico ) è la realtà storica determinata con i suoi profili istituzionali e collettivi. Non esiste una economia atemporale, non esiste una metafisica dell’ economia , una ontologia dell’economia, esiste solo una determinazione storica concreta che deve essere analizzata con tutti gli strumenti possibili e che deve essere fornire indicazioni predittive per il governo delle istituzioni pubbliche e private.

Affermiamo cioè che il metodo dell’analisi economica deve sempre prendere in considerazione le questioni relative all’economia come essa si manifesta onde evitare di creare un sistema ordinato di proposizioni il cui significato storico e politico sia irrilevante o peggio si presti a delle interpretazioni di carattere strumentale giustificazioniste nei confronti di nuove forme di schiavitù e di affermazione dell’uomo sull’uomo.

Gli economisti devono considerare gli aspetti storici e istituzionali in cui si sviluppa la dinamica economia e nell’ambito della stessa analizzare le questioni nella considerazione che la conoscenza è sempre foriera della civiltà e del progresso e che pertanto essa non può che muoversi nell’ambito del costituzionalismo e del riconoscimento dei diritti umani e della natura.
Solo in questo modo l’economia ha un senso come sapere. Altrimenti non è ascrivibile e non trova spazio nella concezione della conoscenza se non come la razionalità del relativismo assoluto.
Non tutti gli economisti sono convinti del fatto che l'economia debba essere una scienza.

Smith, per esempio, era invece molto interessato alle questioni di politica economica piuttosto che a pensare sistemi perfetti nel mondo dell’iperuranio.

Ricardo invece aumentò il grado di astrazione ed ebbe la pretesa di fare in modo che l’economia divenisse una scienza.

Ma domandiamoci.

Quando un fisico o un matematico realizzano un esperimento o pensano un sistema concettuale hanno una finalità di carattere politico? Vogliono colpire una qualche classe sociale? Mettere in discussione un potere economico?

La risposta a questa domanda potrebbe essere sia si che no. Alcuni scienziati certo hanno utilizzato la scienza per finalità politiche. Ma molti altri no. Si parla appunto di ricerca pura, di pura speculazione, di vera scienza.

Nell’economia la pura speculazione non esiste.

E lo stesso Ricardo, che pretendeva di fare dell’economia una scienza, lo ha dimostrato. La sua analisi della rendita e le sue conclusioni relative al fatto che la classe dei proprietari terrieri incamerava più reddito di quanto ne meritasse, era posta in chiave classista. Egli difendeva gli imprenditori della nuova borghesia industriale e per fare questo si impegnò nel dimostrare che la rendita era ingiustificata di modo che i redditi fluissero copiosi verso gli imprenditori e fossero così sottratti ai proprietari. Soluzione: liberismo così avendo più libertà di usare il capitale per comprare le terre gli imprenditori avrebbero potuto sconfiggere socialmente i proprietari terrieri.

E Marx usò la stessa logica per affermare lo stesso rapporto ma cambiando i soggetti. Non più i proprietari si appropriavano del reddito degli imprenditori, ma questi ultimi si appropriavano del reddito dei lavoratori. Soluzione: rivoluzione comunista così i lavoratori si riappropriano di quanto gli imprenditori hanno loro sottratto.

E così via fino ai giorni nostri.

L’economia dunque è sempre determinata storicamente e orientata politicamente e per questo non può essere una scienza.
Essa tuttavia può costituire un baluardo di conoscenza a presidio della civiltà dei diritti umani e della natura.
In questo senso l’economia può affermare a livello globale la democrazia e lo sviluppo dell’umanità.

sabato 21 luglio 2007

Il mercato è una particolare istituzione dello Stato ( ma il mercato globale non esiste ancora )

Il processo di creazione dello Stato e delle sue istituzioni ,così come viene descritto dai contrattualisti, consiste nell'individuazione di una serie di diritti e di doveri che si ritengono necessitare di protezione coercitiva, i quali vengono esternalizzati dal dominio dell'uomo nello stato di natura e ammassati nella concezione dello Stato-leviatano.

Si tratta di un porcesso graduale, empirico ( secondo la tradizione del relativismo anglosassone) che porta lentamente alla creazione dell istituzioni e sucessivamnete all'attribuire alla complesso delle istituzioni il valore di Stato.Di volta in volta gli uomini hanno così regolarizzato le proprie insicurezze e inefficienze per il tramite della creazione delle Istituzioni.

Il Leviatano prende dunque forma per il tramite di un processo di attribuzione ad un soggetto terzo, di poteri, potestà, diritti e doveri, che un tempo erano dei singoli.

Ogni volta che si crea il processo di attribuzione leviatanica ad un terzo di posizioni di potere si crea una istituzione che è un organo dello Stato e si contribuisce a creare il luogo della coercizione, capace di dare certezza ai diritti diversamente non tutelati nello stato di natura.

La stessa dinamica dell'attribuzione di poteri al terzo esiste nel processo di creazione del mercato, in quanto gli uomini hanno delegato al mercato ( come luogo fisico-concettuale delle contrattazione ) il potere di decidere della economicità degli scambi, il prezzo per la circolazione delle risorse e la capacità di premiare attarverso l'attribuzione di ricchezza.Il mercato dunque esercita un potere di coercizione nei confronti del complesso delle contrattazioni. Chi si pone al di fuori di esso ( nell'economia della natura) perde quella protezione che è garantita dall'istituzione. Il mercato è dunque un istituzione.

Dunque nella logica di attribuzione di potere al mercato ( così come per altro avvine anche per altre istituzioni, come ad esempio per la Giustizia, il sietam dell'educazione, l'amministrazione della res publica) si riflette esattamente quel processo di attribuzione di poteri che gradualmente empiricamnete crea gli organi dello Stato.


Nel prcesso di attribuzione di poteri al terzo, nella fenomenologia della crezione della istituzione leviatanica, si possono distinguere vari gradi di complessità che riflettono il livello di civiltà della società.

Non tutte le istituzioni che costituiscono la struttura organica dello Stato sono normate positivamnete attraverso leggi formali, molte norme sono informali e altre istituziooi si trovano ancora nella primigenia costituzione all'interno del fango sociale primordiale ( condizioni e settori dell'esistenza in cui gli uomin fingono di vivere ancora nello stato di natura e che quindi organizzano secondo i principi della forza e del free riding) , istituzioni per le quali in futuro si sceglierà di creare norme prima informali e poi formali per mettere fine alla lotta dell'uomo contro l'uomo. ( circa la necessità economica dellsa creazione delle Istituzioni si veda il pensiero di Douglass North ).


Noi chiamiamo dunque Stato il complesso di queste istituzioni, poichè il Leviatano possiede il controllo su tutta la struttura della società ed ogni volta che questa crea una istituzione essa diventa parte dello Stato entrando nel Dominio del Leviatano. E' purtutttavia evidente che la struttura dello Stato talvolta pone lo stesso nella condizione di essere soggetto passivo di una asimmetria informativa. Il potere creativo delle istituzioni,e quindi delllo Stato nel suo complesso, non è dello Stato ma è dell'humus sociale. E quello che si sviluppa all'interno della primigenia spinta sociale non è nel controllo del Leviatano ( oper lo meno non lo è sempre, cioè come dire il Leviatano aspetta di essere investito di nuovi poteri. e di usufruire di nuove istituzioni, per disciplinare condizioni che si trovano nello stato di natura per ragioni di carattere storico-antropologico). Dunque il Leviatano non può controllare quelle particolari condizioni sociali nell'ambito delle quali gli uomini fingono di vivere nello Stato di natura e usano la forza personale o la coercizione di gruppo per risolvere le questioni ( accade per esempio nella globalizzaione quando i gruppi finanziari utilizzano il proporio potere per risolvere delle questioni come se fossero nello stato di natura ignorando l'esistenza dello Stato).
E' come se il Leviatano fosse ceco nei confronti della capacità della società di individuare nuove condizioni da istituzionalizzare.

La giungla di tali nuove condizioni sociali in cui si vive ancora nello stato di natura è la condizone iniziale. Poi tali fenomeni vengono normati ( per necessità di sopravvivenza dei songili e dei gruppi e per fare coesistere la crescita economica) informalmente attarverso la creazione di istituzioni che funzionano sul modello della common law ( istituzioni autonome ad un livello basso di civiltà formale ) e allora vengono ad entrare nel dominio del Leviatano che le fa proprie con la produzione di norme positive ( istituzioni dipendenti dallo Stato)

E' chiaro che le norme positive offrono maggiore protezione rispetto a quelle informali.

Le istituzioni sono quindi rappresentabili secondo la sicurezza che da esse promana che è una funzione del grado di positività delle leggi.

Il mercato è una istituzione dello Stato ( perchè si viene a creare con il processo di creazione a mezzo dell'attribuzione al terzo -leviatanico) e il suo grado di autonominna ( il fatto cioè di essere normato positivamente, informalmente o di vedere al proprio interno la creazione di un nuovo humus sociale) è molto elevato.

Nel caso della globalizzaione le contrattazioni si sviluppano ( per quanto riguarda il profilo dei mercati finanziari) senza l'esistenza di regole,e gli operatori economici in realtà lasciano che gran parte degli scambi avvengano sulla base di rappoirti di forza extra-istituzionali e auindi possiamo ben dire che non esiste un mercato globalizzato inteso nel senso di istituzione.

Da ciò derivano tre importanti conseguenze:

1. Siamo di fronte alla creazione di nuove isituzioni che a livello mondiale svolgano le funzioni leviataniche nel proceso di affermazione della democrazia ( a causa della necessità di garantire la certezza dei diritti primari, naturali e dei diritti di propietà);
2. pur esistendo la globalizzazione ( come fenomenologia dell'humus sociale) non esiste ancora il mercato globale.

Fondamentale è dunque l'impegno per la razionalizzazione delle norme degli scambi e la creazione delle isituzioni del Governo della globalizzazione e ciò può avvenire per il tramite di un democratico impegno politico cooperativo su basi contrattualistiche che porti all'affermazione della Politica Economica e ritornare in una condizione di emanciapzione dall'homo homini lupus. ( per lo meno per la globalizzazione).

giovedì 10 maggio 2007

Economia Pubblica ed Economia Privata ( o meglio l'inefficienza dell'economia nel predominio della morale)

Gli economisti da sempre dibattono sulla questione relativa alla esistenza di limiti oggettivi all'azione economica dello Stato e del mercato.
Per un paio di secoli ci si è divisi tra fautori dell'intervento dello Stato e sostenitori del mercato.
Poi la questione si è sostanzialmente risolta con la definizione di Bene Pubblico.
La nozione di bene pubblico che deriva dagli studi del Mazzola e del Sax segnerebbe un limite oggettivo, scientifico tra economia pubblica ed economia privata.
Cioè i beni pubblici li produce lo Stato ( beni produttivi di esternalità positiva e di assenza di rivalità nel consumo) e i beni privati li produce il mercato. Rimane aperta la questione degli obblighi che la Costituzione pone allo Stato con riferimento alla questione relativa alle politiche sociali.Che fare dell'istruzione, della sanità, della previdenza e assistenza sociale, dei trasporti?
La risposta è:nella misura in cui queste aree di governo vengono assegnate dalla Costituzione allo Stato, se ne occupi appunto lo Stato, e diversamente il mercato.
E quindi la questione Stato mercato è sostanzialmente chiusa.
Un dibattito antico che trova la propria sintesi nella scienza delle finanze italiana dell'inizio del 900 e nell'economia pubblica contemporanea.

SI ma siamo sicuri che sia finita qui?

L'economa ha risolto la quesitone matematicamente.

E gli uomini, i cittadini, i loro diritti e le loro aspirazioni sono davvero rappresentabili come variabili macro e micro economiche?
Siamo certi che questo metodologia economica di goveranare lo Stato e il mercato da sola esaurisca il complesso della tensione ideale che deve animare l'uomo politico?

Evidentemente non è nei meandri della finanza pubblica, dell'economia politica e della politica economica, che si può esaurire la passione civile che è posta a fondamento della democrazia.
L'economia non può dirci quello che è giusto o sbagliato sotto il punto di vista morale. Organizzare le attività dello Stato e del mercato in senso economico lascia aperta la questione morale ed essa appare come quell'abisso che separa l'interiorità morale dell'individuo contemporaneo ( il mondo dentro di me) , dall'oggettività scientifica dell'organizzazione della vita sociale ed econmica nello Stato e nel mercato ( il mondo fuori da me).

L'uomo ha organizzato il mondo esterno, la vita civile, il rapporto tra stato e mercato, la democrazia, la tecnologia e la natura.
Rimane aperta la questione esistenziale.
I filosofi dell'800 hanno voluto separare l'uomo dal tutto dimodochè egli fosse libero di essere svincolato dalla realtà valoriale, storica, culturale, l'uomo che si supera che fonda il valore dentro se stesso , che vive un mondo di interpretazioni e non di fatti, l'uomo che fa il mondo, e lo trasmuta ogni volta che cambia se stesso.
E oggi questo processo è giunto in una fase parossistica in cui il romanticismo medioevalizzato dalla mediocrità apocrifa dei mezzi di comunizione di massa,che nel frattempo sono stati anch'essi frammentati nella cointemporaneità delle assenze ontologiche, produce il disordine dissociativo della mente soggetto che si contrappone spasmodicamente ad una realatà esterna oggettiva e scientifica.Stride forte il contrasto tra quell'essere uomo male educato dal liberismo morale ottocentesto e l'ordine educatissimo della realtà esterna.

e dunque ciò dimostra la necessità di lanciare un ponte tra l'esitenza morale dell'individuo iperliberato e la realtà esterna con il suo complesso di aggregazioni ontologiche specialistiche che delineano una organicitàò dell'essere mondo-perfetto.

Torna dopo un processo di allontanamento la questione morale. Siamo di fronte ad una nuova moralizzazione della società. L'economia sembra avere esaurito il suo compito e la morale torna la regina della scienza.

domenica 18 febbraio 2007

MACHIAVELLI E ADAM SMITH

Credo che esista una sostanziale identità metodologica e di significanze tra l'opera di Machiavelli e quella di Adamo Smith cioè l'empirismo, la descrizione dei fatti positivamente nella loro osservazione reale, e la successiva deduzione di regole di comportamento che da quelle variabili sistemiche sono strettamente dipendenti.

In queste righe si sosterrà la sostanziale identità tra la l'egoismo smithiano come movente dell'azione economica e il principio dell'azione politica di Machiavelli, onde dedurne una relazione importante e cioè che la scienza politica: al sistema istituzionale italiano= la scienza economica : al sistema istituzionale anglosassone.

E' come se sostanzialmente la traduzione corretta di economia in taliano fosse politica e di politica in inglese fosse economia.

Per comprendere meglio perchè esista tale identità e per quale ragione in effetti la questione è solo terminologica è necessario considerare in sintesi quel grande movimento storico di portata epocale che ha portato alla formazione degli Stati.

Consideriamo per esempio un grande signore appartenente ad una importante famiglia aristocratica, o alla borghesia dell'umanesimo-rinascimento che fondasse cioè la propria ricchezza sul sistema mercantile proto-capitalista, e cerchiamo di immaginare quale sarebbe potuto essere il suo comportamento diciamo intorno all'anno 1500 in Italia centro settentrionale e in Gran bretagna.

Immaginiamo che questo signore volesse conseguire maggiore potere in Italia.

In Italia nel 500 esisteva la possibilità di impiegare le proprie risorse economiche e finanziarie per acquisire la signoria di una qualche città direttamente per il tramite della guerra e poi di accordi tra papato e impero , considerando anche la necessità di imparentarsi con i nobili locali.Tutto questo produce una particolare intelligenza ( potremmo dire delle pubbliche relazioni tra soggetti privati e delle relazioni istituzionali, una intelligenza che è ache stategica e militare e che si fonda sulla finanza mercantile e bancaria) che comunente denotiamo come politca. E' evidente la mancanza di ogni tensione ideale, ed infatti Machiavelli non considera mai le questioni dei valori poltici come la libertà o la democrazia, Machiavelli suggerisce solo come acquisire il potere e come mantenerlo, valutando di volta in volta il comportamento più conveniente del signore.Nasce dunque in Italia la scienza politica come lotta tra "partiti",fazioni per acquisire il controllo delle città, di territori, provincie e Regioni, e come tecnica per mantenerlo, quindi sostanzialmente legata all'economia pubblica e a quella particolare commistione di interessi economici tra le sostanze patrimoniali del signore e quelle finanziarie della collettività.

Immaginiamo invece lo stesso soggetto in Gran Bretagn nello stesso periodo storico.

Ebbene il nostro ricco aristocratico o emergente borghese non ha la possibilità di costruirsi, con i denari e con la forza militare, uno Stato , poichè lo Strato esiste già ed è forte e controllore.L'unica possibilità che lo Stato offre alle ricche classi dirigenti per accrescere il proprio potere è di sviluppare la loro ricchezza nell'economia, quindi piuttosto che acquisire il controllo di città e di provincie, acquisire il controllo dei mercati, del commercio, delle banche, della produzione e del consumo. E questo in effetti accade ( ed è questo che rileva Smith nella sua richezza delle nazioni, in cui cioè è il singolo che nel tentativo di conseguire maggiore potere si concentra sul proprio interesse economico personale).Questo noi chiamiamo economia.Ed anche qui esiste la stessa oggettività che riscontravamo nella definizione di politica ( non c'è infatti una spinta ideale ma solo materiale all'accrescimento del proprio potere, certo in questo caso il nostro ricco signore dallo Stato pretende la difesa del mercato e lo Stato la concede perchè per la Corona è meglio che le forze nuove si sfoghino nel mercato piuttosto che nell'aquisizione del potere istituzionale dello Stato).

Dunque esiste una sostanziale identità oggettiva nell'azione che viene svolta dal soggetto che opera nel sistema inglese ( cioè in un sistema con uno stato forte dove il singolo non ha la possibiltà di controllare il potere delle istituzioni, cioè i tre poteri dello stato ) e l'azione che viene svolta in Italia ( una situazione di assenza di potere istituzionale dove è più conveniente controllare lo stato che controllare il mercato).

Certo esistono anche delle differenze ma a ben vedere sono differenze degli effetti e non anche delle azioni oggettivamente definitite.

E' chiaro che comunque quando esiste una maggiore convenienza a controllare lo Stato piuttosto che il mercato ( come era in Italia nel 500) si sviluppa anche una forte attenzione alle ragioni dell'economia pubblica ,della finanza pubblica e della collettività.

Quando invece è più conveniente rivolgersi al controllo del mercato piuttosto che dello stato si sviluppa una particolare predilezione per gli interessi privati e al contrario nessuna attenzione per il pubblico che al massimo deve avere solo il compito di difendere la possibilità che i privati controollino solo il mercato ( ed in effetti è questa la concezione di politica economica degli economisti classici).Ma come abbiamo già sottolineato si tratta di differenze che riguardano gli effetti delle azioni e non già le azioni stesse le quali invece rimangono ben ancorate alla loro sostanziale identità.L'economicità è la guida del politico di machiavelli e dell'uomo descritto da Smith.

Qiundi se consideriamo il singolo nelle sue azioni il comportamento è identico, ciò che cambia ripetiamoo sono solo gli effetti delle diverse " economie".


Ognuno cerca di aumentare il proprio potere in base al suo ambiente.

Gli ambienti possono cambiare ( lo stato e il mercato ) ma l'azione è sempre una azione economica.

La politica e il mercato trovano la loro identità nella scienza economica.

lunedì 29 gennaio 2007

La fine di Alitalia

Rassegnamoci alla fine di Alitalia. Non esistono infatti possibilità economiche che possano consentire all'ex compagnia di bandiera di ritornare ai vecchi fasti e di trovare nuovi spazi nello scenario internazionale. Non mi soffermo sulla questione della politica di bilancio della società che ogni giorrno accumula un passivo di 1 milione di euro pur continuando a volare. Mi limito ad una questione strategica . A ben vedere sono possibili tre scenari:

1. Lo stato torna ad investire in Alitalia.

In questo caso Alitalia permane nell'attuale condizione di mercato cioè perde quote di mercato perchè conservare tale e quale un'azienda che ha bisogno di essere rimodernata significa produrne il fallimento nel tempo.

2. Airfrance acquista Alitalia

In questo caso la compagnia di bandiera verrà smembrata e ridotta a compagnia low cost in quanto le rotte maggiormente redditizie verranno acquisite da Airfrance che se ne avvantaggerà con i suoi aerei, il suo brand e il suo personale.

3. Privati italiani acquistano Alitalia

Anche in questo caso Alitalia viene trasformata in una compagnia low cost ( è la scelta più probabile dato che non esistono in Itali acimprenditori con il capitale necessario per risanae e finanziare un acompagnia che affronti le tratte intercontinentali) con l'aggravante di essere più debole, infatti dato che Airfrance è il miglior acquirente al mondo in questo momento, ogni altro acquirente produrrebbe svantaggi maggiori.


L'unica possibilità sarebbe qurella dell'utilizzo di una politica governativa protezionistica nei confronti del mercato di Alitalia. Lo Stato in pratica dovrebbe impedire alle compagnie low cost di volare in Italia ( assegnandoi il traffico interno ad Alitalia) e nello stesso tempo impedire anche quei voli low cost che portano i passeggeri nei grandi hub europei da dove poi si imbarcano per rotte extracontinentali. Sarebbe cioè necessaria una politica governativa aggressiva, che reputiamo essere impossibile e sconveniete. Impossibile perchè il governo non sembra orientato in questa direzione non avendo alcun interesse a difendere Alitalia e sconveniente perchè nuocerebbe ai consumatori che ormai sono abituati alle compagnie low cost e mal tollererebbero l'incremento dei costi che la politica protezionistica imporrebbe al mercato.


E via un altro pezzo d'Italia!

mercoledì 3 gennaio 2007

THE MAC SYSTEM MANAGEMENT --definizione--

Una delle complicazioni più grandi degli economisti è la comprensione dei sistemi economici reali che prescindono dal sistema legale e delle comunicazioni sociali.
Esiste cioè una economia che è sempre sommersa per ogni data legge e per ogni dato sistema di comunicazione sanzionato o obbligatorio che sia.
In tale sommerso in realtà l’impresa, il consumatore, il politico, l’ente pubblico producono una economia che rimane implicita nel sistema economico, cioè non appare né allo stato, né alle società di revisione, né agli enti che svolgono una funzione moralizzatrice.
Sicchè anche in presenza della migliore forma legislativa che uno Stato possa darsi esisterà sempre il problema dello shirking, del free riding e del morhal hazard.( cioè è dimostrato dalla scuola della Public Choise, vedi Buchanan e Tullock, con riferimento ai fallimenti dello Stato, e dalla Economia del Benessere con riferimento ai fallimenti del mercato, vedi Pigou e la scuola marshialliana di Cambridge)
Ora mi domando: perchè continuare a fingere di vivere una società in cui sia possibile una rappresentazione legale ed una comunicazione effettiva delle tensioni di economia politica statali o di mercato?
Non è forse meglio guardare la sostanza del fenomeno economico per trarne un sistema decisionale , schema di pensiero e di azione pragmatico e concreto, che sia un ordinamento di conoscenze per l’economista, e un utile breviario sia per il cittadino perso nel sistema politico e di mercato, che per l’impresa o i partiti che invece quel sistema contribuiscono a formare?

Ecco la necessità di razionalizzare le decisioni nel c.d. MAC ( money and consent) SYSTEM MANAGEMENT

Nel MAC SYSTEM si assume che negli scambi che vengono realizzati i soggetti coinvolti cerchino di ottimizzarre sostanzialmente due grandezze ossia gli aspetti quantitativi monetari ( in cui si aggregano i profitti, i redditi, i flussi finanziari generici ed anche le tangenti) e i voti validi alle elezioni, cioè il consenso ( in cui si aggregano sia i singoli votanti che i soggetti che sono portatori di voti, ossia candidati stessi che vengono assegnati ad una lista per voto di scambio, o anche strumenti di comunicazione che consentano di aumentare la popolarità).
Ci si domanderà: perché assumere che tutto quello che si vuol scambiare sia esprimibile in termini di flussi monetari o di consenso?

Risposta: si tratta di una conclusione desumibile dall’osservazione del comportamento dei gruppi dominanti e di coloro i quali aspirano all’acquisizione del potere e di una maggiore influenza( i quali cioè pongono in essere un comportamento imitativo, facendo proprio il comportamento della classe dominate,e competitivo perchè cercano di scambiare più velocemente e con più efficienza moneta e consenso) è cioè l’orientamento più comune e condiviso della nostra società, che certo non è condiviso interiormente da tutti ma comunque consolidato nelle strutture di azione implicite degli individui.

Il MAC SYSTEM è dunque un sistema in cui il soggetto operante non riconosce autorità istituzionali sovraordiante con le quali non sia possibile realizzare degli scambi in termini di money and consent, non esistono cioè delle autorità che non scambino le proprie funzioni con posizioni sociali, questo perchè nel mac sistem è possibile la corruzione, la concussione, lo scambio mafioso ( cioè si tratta di fenomeni che vengono presi in considerazione e non ignorati come generalmente accade nella trattazione degli economisti ). Quindi è un sistema che si adatta sia all’economia formale, nella normale e ordinaria determinazione delle sue variabili macro e microeconomiche ( pil, indici azionari, tassi di cambio, tassi di interesse, disoccupazione, azioni del consumatore e dell’imprenditore, economia pubblica) che all’economia che non rileva dai dati statistici ( economia sommersa o economia di scambio o economia mafiosa).



Ecco fornita la definizione di MONEY AND CONSENT SYSTEM MANAGEMENT, un sistema decisionale volto a formare il cittadino, l’uomo d’affari ed il politico che vogliano ottimizzare le proprie risorse nel sistema economico occidentale a capitalismo avanzato, su basi empiriste, non ideologiche, nell’affermazione del pragmatismo di stampo anglosassone.