lunedì 17 marzo 2008

Il gioco a somma zero come scelta innaturale

Cerchiamo di mostrare la fallacia della seguente proposizione

1. CHE POSSANO ESISTERE,COME NECESSITA', DEI GIOCHI FINITI QUANTO A RISORSE PRESENTI.

QUESTO E’ VERO MA SOLO SE IPOTIZZIAMO :
a) L’ESISTENZA DELLO STATO CHE CREA CONFINI E LIMITI MATERIALI;
b) L’ESISTENZA DEL GRANDE PREDATORE CHE SOTTRAE RISORSE ACCUMULANDOLE E IMPEDENDO UNA AMMINISTRAZIONE DEI BENI PUBBLICI ADEGUATA.

IPOTESI NUMERO UNO: PRESENZA DELLO STATO-MODERNO


a)LO STATO MODERNO LIMITA, HA NECESSITA’ DI STABILIRE DEI CONFINI ENTRO I QUALI ESERCITARE LA PROPRIA SOVRANITA’, E QUINDI SOTTRAE RISORSE ALLA COLLETTIVITA’ RECANDOLE PRESSO DI SE’ TENTANDO DI IDENTIFICARSI CON LA COLLETTIVITA’ STESSA.
QUESTO TENTATIVO RISULTA FALLIMENTARE, POICHE’ LA SOCIETA’ PURE AVENDO BISOGNO DI UN TOTEM ( LO STATO ) HA BISOGNO ANCHE DI PORSI IN UNA CONDIZIONE DI ALTERITA’ RISPETTO AD ESSO IN MODO TALE DA POTERSI IDENTIFICARE NEL MOMENTO OPPORTUNO QUANDO CIOE’ LE DONNE E GLI UOMINI SI SUBLIMANO NEGLI ENTI COLLETTIVI, NELLA GIUSTIZIA, NELL’ORDINE, NELLA PACE, NELLA FORZA, NELLA SICUREZZA.
PER FARE CIO’ LA SOCIETA’ HA BISOGNO DI SENTIRSI POSTA IN UNA CONDIZIONE DI ALTERITA’ RISPETTO ALLO STATO , A LIVELLO ONTOLOGICO, PURE ACCETTANDO DI ESSERE UNA DIMENSIONE SUBORDINATA QUANDO NASCE IL BISOGNO DEL TOTEM.

E TUTTAVIA QUANDO QUESTO ACCADE LO STATO LIMITA LE RISORSE E QUINDI IN SOSTANZA DISPONE LE PREMESSE PER QUEL GIOCO A SOMMA ZERO CHE COSTITUISCE LA LOTTA PER IL POTERE, PER L’IMPOSIZIONE ALLA SOCIETA’ DELL’UNICO TOTEM POSSIBILE. ECCO DUNQUE CHE LO STATO CREA LE PREMESSA PER IL GIOCO A SOMMA ZERO, UN GIOCO CON RISORSE FINITE CHE IMPONE ALLA SOCIETA’ UNO STATO DI MOBILITAZIONE PERMANENTE, CON DIVERSA INTENSITA’ RISPETTO AL TIPO DI SOCIETA’, DEL COMPLERSSO DEI GIOCATORI CHE SONO PRESENTI NEL GIOCO A SOMMA ZERO.

IPOTESI NUMERO DUE: LA PRESENZA DEL GRANDE PREDATORE


b) IL GRANDE PREDATORE E’ QUELL’ENTE ( ISTITUZIONE O COMPLESSO DI INDIVIDUI ) O QUELL’INDIVIDUO , TALVOLTA PUO’ ESSERE ANCHE LO STATO , CHE SOTTRAE RISORSE PUBLICHE AD UNA COLLETTIVITA’, ALLOCANDOLE PRESSO DI SE’ ATTRAVERSO LA MERA ACCUMULAZIONE. IL GRANDE PREDATORE CREA CIOE’ UN TRADE OFF TRA LE RISORSE CHE EGLI POSSIEDE ( RISORSE NATURALI, FINANZIARIE, MILITARI, SCIENTIFICHE, CAPITALE UMANO) E LE RISORSE CHE RIMANGONO A DISPOSIZIONE DELLA SOCIETA’. COSI’ FACENDO CREA UNA LIMITAZIONE DELLE RISORSE, CHE NON E’ NATURALE MA E’ VOLUTA, E SI GIUNGE IN UNA DINAMICA DI GIOCO A SOMMA ZERO, CON LA CONSEGUENTE TENSIONE NELLA SOCIETA’ PER ACCAPARRARSI LE RISORSE, QUEL CONFLITTO CHE SPINGE INEVITABILMENTE ALL’HOMO HOMINI LUPUS, PER L’ACCUMULAIZONE DI BENI MATERIALI E DI RICCHEZZA PERSONALE.


E’ evidente che l’ipotesi della presenza di un gioco finito quanto a risorse presenti è appunto una ipotesi che viene imposta una condizione accettata dalla società. I membri della collettività si organizzano, più o meno consapevolmente, come giocatori del gioco a somma zero, nel primo caso per l’acquisizione del potere, metaforicamente l’innalzamento del proprio totem, nel secondo caso attraverso la lotta competitiva, nel tentativo di essere il più grande tra i grandi predatori.

Tuttavia queste non sono necessità, ma scelte.L’errore consiste nell’accettare queste rappresentazioni della realtà come naturali. Occorrerebbe invece comprenderne l’artificiosità e disinnescare le cariche negative che in esse sono presenti , dimodochè permangano solo gli elementi utili alla società che nel primo caso sono costituiti dall’ordine, dalla giustizia, dalla sicurezza, e nel secondo sono rappresentati dall’ingegno e dal benessere materiale, le quali circostanze andrebbero unite alla consapevolezza che il gioco a somma zero non esiste nella realtà naturale, ma è una convenzione sociale, che si accetta per potersi meglio concentrare nella determinazione materiale della propria esistenza. Si potrebbe dunque eliminare la tensione alla guerra e al cannibalismo politico-economico militare.

Quale ruolo per la filosofia?

OVVERO COME OVVERO COME LA FILOSOFIA TAPPA I BUCHI DELLE ALTRE SCIENZE ATTRAVERSO UNA COSTANTE LACERAZIONE DI SE STESSA. (1)


Lyotard nella introduzione alla sua opera sostiene che il postmoderno è la condizione del sapere che si è venuta a creare nell’ambito della filosofia intesa come filosofia dell’uomo ovvero concezione unitaria della vita dell’uomo. Questa concezione unitaria non è più fruibile, non è più ammissibile.

La scienza ha bisogno della filosofia perché la seconda legittima la prima.
E tuttavia l’evoluzione del sapere scientifico, che è una funzione del sistema economico , impone allo scienziato la distruzione di una certa filosofia legata ad una certa scienza precedente, rispetto alla quale si vuole cioè realizzare una evoluzione.

Ne deriva che la filosofia perde di credibilità se intesa come visione totale della vita dell’uomo, e allora sono possibili microfilosofie funzionalizzate le cui dinamiche di sviluppo sono legate rispetto alla evoluzione della scienza che è variabile dell’economia.(2)
La filosofia dirime cioè le contraddizioni che esplodono nella contemporaneità, nella contiguitaneità che è costituita nel dominio dell’economia.
L’economia rende la filosofia utile nel momento in cui occorre la ricerca scientifica, poiché essa dirime le contraddizione, le aporie, le lacune tra logica e matematica, ed utile nel momento in cui le innovazioni tecnologiche giungono nel mercato poiché essa, manifestandosi come semiologia, conduce le moltitudini degli uomini-oggetti unitari, soggetti frammentati, a comprendere le utilizzazioni e il feedback sulla vita personale e associata, l’economia rende ancora utile la filosofia quando questa fornisce la giustificazione del potere egemonico per il tramite del concetto di libertà.
La filosofia è una insieme di proposizioni, di segni, di indicazione, una fabbrica di idealtipi, frammentata, che cerca tuttavia di coniugare enti dell’esistenza difficilmente unificabili, ma senza riuscirci fino in fondo, essendo infatti anch’essa sottoposta a quella specializzazione funzionale che consente alla filosofia di svolgere solo il proprio compito e nulla di più, non può più essere enciclopedia, sistema unico, visione della vita, pure continuando a rispondere a domande alle quali il mondo della scienza non ha ancora risposto logicamente o matematicamente, pure continuando a svolgere una funzione ermeneutica rispetto all’innovazione tecnologica, e pure continuando a svolgere una funzione prodromica rispetto alla conservazione del sapere-potere.

La filosofia tenta dunque di unificare parti di conoscenza nelle diverse fasi della evoluzione delle stesse all’interno della produzione economica. Ma in questo tentativo essa si specializza perdendo se stessa. Le fratture che si creano tra le diverse branche della filosofia non sembrano ricubili, e lasciano spazio ad altre funzioni quali per esempio quella teologica, e quella mistica intesa in senso ampio, che oggi ritornano ad avere un significato di vero collante per macrostrutture che tendono ad essere totalizzanti, ma che in realtà non lo sono.

L’unico elemento che possiamo ritrovare in ogni dimensione della vita è quel totalitarismo metodologico, che è un insieme “efficiente” (3) di società aperta e specializzazione e che riguarda il complesso delle azioni sia micro che macro, che riguarda l’uomo, le istituzioni pubbliche, le imprese private, oltre che le associazioni del terzo settore, che divide la società, dissipa la cultura, seziona gli enti , vero strumento di controllo a disposizione della global governance tecno strutturale.











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(1) CONSIDERAZIONI SUPERFICIALI SUGGERITE DALL’AVERE SBIRCIATO NELL’INTRODUZIONE ALL'OPERA LA CONDIZIONE POSTMODERNA DEL FILOSOFO LYOTARD.

(2) E’ evidente che nessuno scienziato può sperare di realizzare ricerca scientifica senza le risorse finanziarie necessarie e senza la protezione accordata dalla istituzione, pubblica o privata, presso la quale opera.

(3) Cioè che persegue un obbiettivo chiaro, vale a dire scalare la classifica quantitativa, vincere le competizioni tra gli enti, e che tuttavia non è una definizione neutrale, ma più che altro di carattere conservativo, poiché utile all’esistente e non ad una sua possibile alternativa. Vale a dire che gli enti della globalizzazione ( imprese, Stato, organizzazioni, moltitudini) si scontrano quantitativamente, cercando di ottenere maggiore potere.

martedì 11 marzo 2008

Postmoderno/condizione postmoderna

Il postmoderno è l'incredilità nei confronti delle metanarrazioni.( Lyotard)
In sintesi si tratta della mancanza di autorevolezza del pensiero e delle azioni "forti" cioè delle visioni e delle politiche militari ed economiche totalizzanti la sostanza della società, che hanno cioè un progetto preciso di cosa deve essere la società intesa nel suo complesso e la direzione che essa deve prendere.
Tuttavia la condizione postmoderna rischia di essere puramente formale perchè l'assenza di credibilità nelle metanarrazioni si accompagna alla presenza di una fede cieca nella tecnica e nella sua pragmatica logico-matematica formale, vale a dire nel totalitarismo metodologico, al quale oggi si demanda il controllo di ogni aspetto della vita umana.
Si è passati cioè da una società orientata a progetti comuni e condivisi ( comunismo, fascismo, emancipazioni umaniste) ad un relativismo in cui l'individuo non mette in discussione la società, ma chiede di essere soddisfatto nelle sue aspettative personali attraverso l'acquisto e il consumo di "metodologie" per il raggiungimento della felicità e del benessere individuale inteso come autonomo, assoluto, slegato dalla felicità altrui o dalla concezione del benessere generale.
Queste metodologie sono derivate dalla scienza economica, ovvero dalla disciplina che viene utilizzata per il governo dell'esistente dai soggetti della global governance tecnostrutturale, che ha imposto come unico criterio di scelta "l'efficienza razionale" dell'homo oeconomicus, la quale si impone erga omnes come nuovo totalitarismo, il totalitarismo metodologico.

Il minimal state come partenza

Partire, nell'analisi economica, da una prospettiva di minimal state significa svolgere il proprio pensiero di politica economica in una ottica libertaria.
Si accetta cioè l'esistenza dello Stato ma solo come una presenza momentanea nell'attesa della sua definitiva sottomissione al mercato e della sua estinzione storica.
Sostenere il minimal state come punto di partenza non significa partire dal minimal state che costituisce l'approdo dei classici, ma piuttosto partire da una analisi libertaria.
I sostenitori del minimal state di partenza pensano infatti che lo Stato non debba svolgere funzioni di controllo del mercato ma debba solo garantire l'amministrazione della giustiza per tutelare i contratti e la proprietà privata nell'aspettativa di una privatizzazione totale della società.

Il minimal state come approdo

L'approdo al minimal state è tipico della tradizione liberale-liberista e cioè classica perchè in questa analisi si parte dal dato di fatto che l'economia è compressa dal controllo dello Stato inteso in senso moderno.
In effetti l'analisi dei classici ( Smith, Ricardo, Mill e coloro i quali si richiamano ad essi compreso Voh HAyeck e SChumpeter), partiva da una realtà storica in cui lo Stato non consetiva alle imprese, alle banche, ai commercianti, agli imprenditori e alla loro microeconomia, di svilupparsi in modo autonomo.
Lo stato tendeva a comprimere l'economia di mercato nel tentativo di conservare lo status quo, rappresentato per lungo tempo dai proprietari terrieri, di miniere, e dalle compagnie di import-export pdi proprietà pubblica e dall'aristocrazia di rango oltre che dai funzionari/notabili dello Stato.
Partendo da questa situazione reale i sostenitori del liberalismo classico pensarono di liberare le forze attive dela società borghese, approdando al minimal state, chiedendo cioè allo Stato di ridurre la propria sovranità in materia economica.
Tuttavia il minimal state come approdo nella tradizione classica richiede allo Stato Moderno di impiegare le risorse derivanti dal pagamento delle imposte per la fornitura dei servizi essensiali, dell'istruzione, dell'amministrazione della giustizia, del controllo dell'effettiva presenza di libertà politiche, e del controllo del libero mercato contro il monopolio e l'oligolpolio, della ricerca e dello sviluppo dell'impresa nascente.

Libertarismo

Il libertarismo è una corrente di pensiero che afferma contemporanenamente la centralità dell'individuo dotato di libertà assolute e non comprimibili, la difesa della proprietà privata come diritto essenziale, la lotta allo Stato inteso come pubblico potere che limita la libertà individuale e di impresa e usurpa la proprietà privata.
Per il libertario la libertà individuale è senza limiti e si accompagna al diritto di proprietà e alla libertà di impresa che non sono "diritti economici" ma assurgono alla funzione di valore morale.
Il libertarismo si distingue in due branche una moderata, il minimal state, e l'altra estremista, l'anarco-capitalismo.
La differenza tra le due consiste nel fatto che mentre nel minimal state si accetta che lo Stato svolga alcune funzioni consistenti nell'amminisgtrazione della giustizia e nel mantenimento dell'ordine interno, tutelando cioè i contratti e la proprietà privata , nell'anarco-capitalismo si pensa che anche queste funzioni debbano essere privatizzate e sottoposte al mercato.
Nonostate i libertarti si intendano come continuatori della tradizione liberale è necessario sottolineare che questa affermazione deve essere rigettata certamente per l'anarco-capitalismo ma anche per le forme più marcate di minimal state, il minimal state di partenza, poichè esse tutte si fondano sul principio della estromissione dello Stato dall'economia e sull'assenza di diritti di alterità.
Nel pensiero liberalista-liberale invece lo Stato deve intervenire nel mercato per tutelare l'impresa nascente e la libera concorrenza dal pericolo di monopolio e di oligopolio, e del resto nel liberismo-liberale il diritto alla libertà individuale è un bene pubblico tutelato dallo Stato, laddove nel libertarismo è compito del singolo tutelare se stesso.

Globalizzazione

La Banca mondiale definisce la globalizzazione come "the growing integration of economies and societies around the world".
Si tratta di una definzione stringata di globalizzazione che tuttavia capta il significato essenziale della stessa. La globalizzazione è innanzitutto un fenomeno di crescente integrazione a livello mondiale.

giovedì 28 febbraio 2008

….“è finita la modernità liquida” disse l’uomo sull’albero maestro. Ma cosa ci faceva li?....

COME IL POSTMODERNO E’ DIVENUTO IL RECINTO DELL’OLTRE UOMO




Molti autori sostengono che la contemporaneità che tutti noi viviamo (1) , questa condizione dalla quale scaturirebbero le nostre azioni, i nostri pensieri a livello subliminale, come se si trattasse di un grande inconscio in cui tutti siamo immersi, una sorta di lago (2) in cui ci bagniamo,ci tuffiamo o che temiamo per i “mostri” che lo abitano, sarebbe postmoderna o della modernità liquida (3).


Una delle caratteristiche della condizione postmoderna è la sua invisibilità da lontano e la sua inconsistenza da vicino. L’unica cosa che possiamo dire è che essa è bagnata, nel senso di liquida, cioè la avvertiamo come sensazione ma essa è intangibile, non rappresentata ma soltanto percepita una volta attraversata, è appunto una condizione, uno stato dell’essere.

In questa condizione gli uomini sembrano vivere senza riferimento alcuno. Gli uomini hanno rovesciato i valori in disvalori e ora tra i primi e i secondi non sanno più come scegliere. Nell’incertezza li ammettono tutti, purchè rispettino la regola dell’assenza di gerarchia valoriale. Tutti sullo stesso piano. Il postmoderno abbatte le distanze e le differenza, da quando poi ha prodotto la globalizzazione è chiaro a tutti che il mondo è piatto.(4)



Non vi sono più modelli da seguire, idoli che impongano paura per distribuire sicurezza, stelle che possano tracciare la rotta, capi da imitare e rispetto ai quali porsi in una condizione di subordinazione o di alternativa, non vi sono più contrasti, forze che si premono, ma tutto è così appunto immerso nel liquido. Le idee, i movimenti, le azioni, a volte sono onde sul lago, altre volte correnti dello stesso, ma finiscono, si mescolano si placano, smettono ad agire come forze autonome si interelazionano, si configurano diventano parte della condizione, sono il postmoderno.


E pur tuttavia esse comunicano tra di loro condividono uno stesso flusso di comunicazione. Tale flusso è costituito dai giochi logico-matematico-formali, cioè da una metodologia attraverso le quali le parti del tutto tendono a rafforzarsi, a vincersi nello scontro, cercando di assumere maggiore consistenza. Tale linguaggio, è totalitaristico, poiché limita la libertà di espressione delle parti, e così facendo veicola anche i contenuti che esse possono comunicare. Il linguaggio formale infatti ha la capacità di modificare fortemente il contenuto che attraverso esso è possibile produrre e veicolare. Si crea così una comunicazione governata da una forza superiore, il totalitarismo metodologico, che è il metodo della comunicazione che però nello stesso tempo definisce anche il requisito per l’esistenza degli enti comunicanti e dell’oggetto comunicato. Se non si accettano le regole metodologiche non si esiste, gli enti sono privi di forza, non si ritrovano cioè come conseguenza della condizione postmoderna, sono fuori del lago e diventano oggetti comuni, già vissuti, “moderni “ nel senso più spregiativo del termine.

Tuttavia il totalitarismo metodologico, il metodologismo logico-formale è la fine della modernità liquida. Indica cioè il suo confine, il suo recinto il suo limite territoriale.

Non c’è più quindi un racconto, una massa, un gruppo, ma l’isolamento delle singoli parti, configurabile in diversi modi che oltre una certa densità si fa moltitudine. Le parti ovviamente si combinano economicamente, secondo le regole dell’efficienza, le parti sono subordinate al governo del totalitarismo metodologico.

<< La funzione narrativa perde i suoi funtori, i grandi eroi, i grandi pericoli, i grandi peripli, i grandi fini. Essa si disperde in una nebulosa di elementi linguistici narrativi, ma anche denotativi, prescrittivi, descrittivi, ognuno dei quali veicola della valenze programmatiche sui generis. Ognuno di noi vive al crocevia di molti di questi elementi. Noi non formiamo delle combinazioni linguistiche necessariamente stabili, né le loro proprietà sono necessariamente comunicabili.[…]Esistono molti giochi linguistici differenti, ceh costituiscono l’eterogeneità degli elementi ed i giochi possono generare istituzioni solo attraverso un reticolo di piastrine, che costituisce il determinismo locale>> (5)


Questa condizione della linguistica, è tale per cui la comunicazione non è più uno strumento della percezione dialogica (6), ma è posta in una dinamica competitiva. La parola, strumentalizzata nella perdita del senso valoriale (7) , è un’arma da utilizzare per vincere nel gioco linguistico contro l’avversario. L’uomo “oltre-uomo” avendo messo sullo stesso piano valori e disvalori li unisce, li connette secondo il criterio dell’efficienza, per creare tecniche, tecnologie, oggetti economicamente normati, che possano accrescere la propria condizione di sicurezza, il proprio benessere attribuendo uno status superiore rispetto agli altri uomini. Nella metodologia di costruzione di questa infrastruttura tecno-economica egli incontra il limite, il proprio recinto, quelll’assenza di meta narrazioni che è il postmoderno non ha libera l’uomo, ma lo ha sottoposto ad una prigionia ancora più forte, poiché ceca e subliminale, disumana nella sua determinazione sociale, ovvero il totalitarismo metodologico esercitato per il tramite del governo della tecnostruttura.



I valori e i disvalori sono dunque la materia con cui si costruisce, sotto le regole del totalitarismo metodologico, la strumentazione di dominio e di controllo della ricchezza ,dei territori e delle istituzioni. Si tratta di una impostazione che non accetta altra determinazione valoriale che il dominio e l’egemonia di un uomo sull’altro uomo , poiché in questi casi non si può dire che vi sia un dialogo, con descrizione di una idea, ma piuttosto una gara, e quindi l’impostazione di una situazione i cui a somma zero, v’è chi vince e chi perde. In questa dimensione non può esistere una dimensione pubblica o politica, con riferimento al governo della città, dei beni comuni, perché il gioco a somma zero spinge gli uomini alla privatizzazione alla cacciata di altre donne e uomini alla costruzione di enti privati o di beni da club-tribali.


Si è persa dunque nel postmoderno , come annichilimento della comunicazione attiva e morte del soggetto la funzione dialogica liberale-non liberista (8) , di derivazione classica.



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(1)Anche se non contemporaneamente, ma più che altro contiguamente, sicchè sarebbe possibile parlare di contuiguitaneità.
(2) Perché abbiamo definito la condizione postmoderna come un lago e non come un fiume o come un mare, o un oceano? Essa è un lago perché non tutti la vedono, è elitaria nella sua determinazione esistenziale, è la coscienza di quei pochi uomini che svolgono la funzione del governo della globalizzazione. Essa non è un fiume, perché non scorre, dalla montagna alla valle, cioè non individua un ordinamento gerarchico della società, o una idea di progresso storico. Essa non è un mare né un oceano, perché non è così fruibile a tutti gli uomini né così ricca di nutrimento, avendo il postmoderno creato la globalizzazione che ha aumentato la disuguaglianza sociale.
(3) Sulla concezione della modernità liquida confrontare Zygmut Bauman, La modernità liquida, Bari, Laterza,2006 , sulla concezione del postmoderno confrontare Jean Francois Lyotard, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 2002.
(4)Cfr Thomas L. Friedman, Il mondo è piatto, Milano, Mondandori, 2007.
(5) Lyotard, “la condizione postmoderna”, Milano, Feltrinelli, 2007, pag 6.
(6)Il dialogo viene realizzato avendo attenzione non per la vittoria del gioco linguistico ma per la creazione di una idea comune, attivando la sfera della politica, si accetta l’idea che si possa delineare una idea della collettività, che aggiunga valore a tutti e non solo al singolo o al gruppo vincitore del gioco linguistico, si delinea la condizione del gioco a somma positiva, una prospettiva pragmatica di pacificazione umana.
(7)Relativismo gnoseologico su cui si fonda il postmoderno come incredulità delle meta-narrazioni, cfr Lyotard, op. cit.
(8)Ci si potrebbe domandare a questo punto se è possibile l’esistenza di una società liberale e non liberista. Ebbene dobbiamo dire che certamente si tratta di una possibilità concreta in cui esistano le libertà individuali politiche e non in modo altrettanto forte le libertà individuali economiche legate alla dinamica del capitalismo. Per esempio le società democratiche precapitalistiche erano liberali e non liberiste. Del resto è possibile che esista anche il liberismo senza liberalismo come accade in questo momento storico in cui esistono le libertà economiche ma non le libertà politiche, le quali non possono coesistere con la determinazione della società senza Stato tipica del libertarismo.











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Gli scatti del Pierre

mercoledì 27 febbraio 2008

giovedì 21 febbraio 2008

Il Postmoderno ha prodotto la globalizzazione libertaria

Il superamento della condizione dello Stato nazione (1) , conduce ad una società nell’ambito della quale l’assenza dello stato, della comunità politica, l’inesistenza di un confine territoriale-giuridico-militare, inducono gli uomini in una condizione di isolamento, di solitudine,libertaria .I legami tra gli uomini, non sono più morali, o religiosi, né giuridici, ma di efficienza e di scambio. Per questa via si passa dal concetto di popolo, a quello di massa , a quello di moltitudine. Con l’apertura di quella gabbia protettiva ma anche oppressiva dello Stato- moderno, l’uomo è tornato libero, ma non alla libertà civile, della società della comunità,della polis, ma alla libertà anarchica in una specie di stato di natura capitalista, in una giungla di mercato, nella quale vive senza bisogno alcuno di totem e riferimenti, di dialogo e di discussione, ma solo nel tentativo di accrescere la propria personale ricchezza , come maggiore certezza del proprio futuro,come elemento per combattere la paura esistenziale. L’uomo del postmoderno ha abbattuto anche i simboli laici, i totem m della democrazia, si avverte come elemento in una rete, margine di una ulteriore posizione di ottimizzazione, non ha identità soggettiva, ma solo oggettiva e legata ai risultati delle proprie azioni.


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(1) << La novità consiste nel fatto che in tale contesto i vecchi poli di attrazione costituiti dagli Stati –nazione, dai partiti, dalle professioni e dalle tradizioni storiche perdono il loro potere di centralizzazione. Né sembra che essi debbano essere sostituiti,almeno al livello che è loro caratteristico.>>, Lyotard, La condizione postmoderna,Milano, Feltrinelli, pag. 31

mercoledì 20 febbraio 2008

C.B

Il postmoderno come morte del soggetto

Relativamente ai cambiamenti nel governo dell’esistente, Lyotard descrive il passaggio dallo Stato come ente che contiene la società allo Stato come ente che fa parte della società, non più posto in una condizione di superiorità, ma di orizzontalità rispetto agli altri enti. Ecco che quindi si giunge ad un cambiamento della sfera della politica (1), come luogo della collettività, la politica non è più soltanto quella che si svolge negli enti pubblici ma è qualcosa di più grande da racchiudere anche lo stato-nazione moderno. L’ordinamento globale che così nasce è un superamento della dicotomia stato-privato, global player-stato-nazione, è superiore a queste entità, ma capace di rispettarne l’esistenza in una condizione di riconoscimento funzionale. Nello stesso tempo questa entità non ha più la caratteristica dell’essere moderno, chiuso , delimitato. Ma è aperto, una sorta di democrazia degli enti, ciascuno valutato secondo la sua funzionalità economica, la sua efficienza, in base all’efficienza, nel governo tecno-strutturale del totalitarismo metodologico.
Il totalitarismo metodologico raggiungerebbe così la sua piena autonomia essendo adiaforizzato.
Gli enti cioè sono tutti validi , purchè siano funzionali ed efficienti, a prescindere dalla propria natura. Troviamo orizzontalmente disposti, le multinazionali, gli stati-nazione, le istituzioni religiose, i movimenti e partiti politici, il terzo settore, il movimento a difesa del lavoro, dei cittadini e del risparmio. Tutti sullo stesso piano. Il postmoderno è morte del soggetto. Il soggetto non ha più importanza qualitativa, ma solo funzionale, ha cioè importanza come oggetto. E in base a questo decide l’andamento dell’ordinamento della globalizzazione sulla base di quella che è la funzionalità del metodo unico, del totalitarismo metodologico, egemonia della scienza economica.


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(1)<< Già adesso essa non è più costituita dalla classe politica tradizionale, bensì da uno strato eterogeneo formato da capi di impresa, da alti funzionari, da dirigenti di grandi organizzazioni professionali, sindacali, politiche confessionali>>, Lyotard, LA condizone postmoderna, Milano, Feltrinelli, 2007, pag 31.

martedì 19 febbraio 2008

Il totalitarismo metodologico

PREMESSA


• Il postmoderno è la condizione esistenziale della contemporaneità dalla quale scaturisce la globalizzazione ( il postmoderno genera la globalizzazione)(1)
• Il postmoderno è la condizione della cultura e della scienza fondata sulla centralità del linguaggio ( il postmoderno rifiuta l’ideologismo ma si fonda sul metodologismo, ovvero sulla logica del metodo): (2)
• La globalizzazione, attraverso il rafforzamento degli enti privati e la strumentalizzazione oligarchica del FMI e del Wb, ha prodotto per l’ordinamento globale, un diritto informale, che non viene più posto nelle assemblee legislative democraticamente elette , ma deciso nei luoghi di contrattazione internazionale come il WTO. (3)
• Per giustificare l’esistenza di un mercato globale senza limiti, non limitato cioè da uno stato globale, gli economisti hanno trasformato il concetto di libertà liberale in quello di libertà libertaria, di stampo anarco-capitalista, un concetto secondo il quale l’azione individuale non deve incontrare limite alcuno, laddove invece i liberali non libertari, ritengono che la libertà individuale debba essere limitata per tutelare le imprese nascenti e la concorrenza contro le derive monopolistiche della libertà assoluta. (4)
• La tecnostruttura è l’insieme dei policy makers, dei burocrati della pubblica amministrazione e del management delle imprese, che governa la globalizzazione, attraverso l’ordinamento informale, cioè la governance della globalizzazione libertaria. (5)

IL RAGIONAMENTO



nell’età della globalizzazione, prodotta dalla condizione postmoderna, a causa della tendenza a trasformare il sapere in un gioco linguistico, a causa della esistenza di un processo di governance informale e libertaria derivante dalla liquidità della dimensione del potere, le decisioni vengono assunte non più sulla base di idee, ma di metodi, che corrispondo alla vittoria dei giochi ovvero alla ottimizzazione della teoria dei giochi,si determina così l’egemonia della scienza economica e la subordinazione dell’esistente al metodo migliore che è il totalitarismo metodologico.


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(1) Sul superamento della condizione dello Stato-nazione e sulla questione delle imprese globali come globa players Lyotard scrive “ Le istanze economiche hanno potuto mettere in pericolo quelle statuali a causa delle nuove forme di circolazione dei capitali, forma cui è stata data la denominazione generica di imprese multinazionali e che implicano la sottrazione almeno parziale del controllo sulle decisioni di investimento da parte degli Stati-nazione. Lyotard , La condizione posmtoderna, Feltrinelli, 2007, pag 15.
(2)“ il sapere scientifico è una specie di discorso. Si può dire che da quanrantanni le scienze e le tecnologie cosiddette di punta vertano sul linguaggio”, Lyotard, op. cit. pag 9.
(3) Cfr JOSEPH E.STIGLITZ , La globalizzazione e i suoi oppositori,Torino , Einaudi, 2004.
(4) Cfr Murray N. Rothbard, La libertà dei libertari, Catanzaro, Rubettino, 2000.
(5) Cfr John Kennet Galbraith, Il nuovo Stato industriale, Torino, Einaudi, 1967.

domenica 17 febbraio 2008

Il totalitarismo metodologico: il discrimine, la forma del concetto, il criterio di scelta

Lyotard, nel primo capitolo della sua opera, “La condizione postmoderna”, ragiona circa i cambiamenti cha hanno indotto il nuovo stato del sapere. Dal suo punto di vista il cambiamento si è manifestato nel corso degli anni Cinquanta attraverso una crescita dell’importanza della comunicazione e del ragionamento sul linguaggio in tutte le scienze anche se queste variazioni si sono manifestate con diversa intensità nei diversi sistemi economici e sociali, il che sostiene Lyotard, produce una certa discronia.
Dinanzi alle varie caratteristiche e diramazioni di questi percorsi, Lyotard preferisce comunque analizzare gli elementi che sono comuni.

In questo senso si sofferma sull’importanza del linguaggio:

“ Il sapere scientifico è una specie di discorso. Si può dire che da quarant’anni le scienze e le tecnologie cosiddette di punta vertano sul linguaggio […].”

Tutte le scienze, dice Lyotard, devono non solo procedere nella propria evoluzione, ma devono farlo in modo che il risultato di queste evoluzioni sia compatibile con una elaborazione informatica. Le scienze cioè devono potere comunicare tra di loro a mezzo di una forma economica, il bit , e questo porta ogni ambito della scienza, ad interrogarsi sul come rendere i risultati comunicabili. Tutto questo ha formalizzato un linguaggio metodologico, tale per cui prevede una riconnessione immediata del sapere ad altri saperi a mezzo di uno stesso linguaggio. Tuttavia il linguaggio influenza il contenuto del messaggio, sicchè si determina a mezzo dell’egemonia della logica informatica, fondata cioè sull’economia dell’informazione, una sorta di pensiero unico, che guida lo sviluppo della scienza, il quale pensiero non si definisce sotto un profilo qualitativo o ideale, ma puramente economicistico, metodologico, utile cioè allo sviluppo della scienza come risposta al bisogno dell’uomo.
Si addiviene così al postmoderno, essendo esso libertario ( cioè libero dall’alterità ), supera la concezione del valore-disvalore, e approda al metodologismo, finalizzato all’incremento delle posizioni di partenza, alla competizione.
Se il postmoderno fornisce la coscienza all’homo oeconomicus, cioè costituisce l’insieme delle scelte possibili, il totalitarismo metodologico, è quella forza che impone alla creatività e alla libertà, una determinata forma, come se esistessero delle funzioni tra gli elementi dell’insieme delle scelte possibili che dovrebbero essere sempre preferite rispetto ad altre. E questa logica è mutuata dall’economia del linguaggio, dall’informatica, ma in generale dalla scienza economica, che appunto si occupa di analizzare le scelte migliori, gli ottimi, date certe condizioni.

Dunque il totalitarismo metolodogico, cioè questa forma di comunicazione che definisce una caratteristica essenziale dell’ente , riducendo gli spazi ermeneutici, è :

• un discrimine: poiché è un limite, un elemento di selezione per indicare i confini dell’ordinamento;
• la forma del concetto: vale a dire una metodologia, ad alto valore aggiunto di conoscenza, attraverso la quale gli uomini esprimono se stessi e la scienza nel suo sviluppo, risolvendo il problema del rapporto tra forma e contenuto, nella meccanizzazione e regolamentazione del linguaggio;
• il criterio di scelta, ovvero la forza terza che domina la libertà degli uomini.

C.B

venerdì 15 febbraio 2008

Alcune domande sul rapporo tra il postmoderno e la globalizzazione

Nella sua introduzione all'opera "La condizione postmoderna" Lyotard fa riferimento alla condizione postmoderna come ad una determinante di tipo culturale che riguarda lo stato del sapere e della scienza. Egli infatti scrive:

"L'oggetto di questo studio è la condizione del sapere nelle società piiù sviluppate. Abbimo deciso di chiamarla posmtoderna." ( Lyotard , la condizone postmoderna, Milano, feltrinelli, 2007, pag. 5)


Ma perchè Lyotard fa riferimento al postmoderno come ad una condizione della cultura? Che cosa si intende per cultura? e come questa incide sull'ordinamento della globalizzazione?

Cerco di rispondere queste domande.

Secondo la definzione che ne dà l'Abbagnano, nel suo Dizionario di filosofia, la cultura può essere intesa in due modi:

"Il primo e più antico è quello per il quale significa la formazione dell'uomo, il suo migliorarsi e raffinarsi [...]. Il secondo è quello per cui esso indica il prodotto di questa formazione, e cioè l'insieme dei modi di vivere e di pensare [...] che si sogliono anhce indicare come civiltà." ( Abbagnano Nicola, Dizionario di Filosofia, Torino Utet, 1998)



Il postmoderno sarebbe dunque la caratteristica dominante ovvero la forma culturale egemonica della contemporaneità, che riguarderebbe sia la formazione che il suo prodotto esistenziale, individuale e di gruppo, la sua civiltà. Il postmoderno è la civiltà dell'uomo sorto dalla caduta degli idoli, la forza che forma antropologicamente l'homo novus, e ne sostiene la produzione sotto il punto di vista ideale ed economico.

In questo senso il postmoderno ha posto le basi della globalizzazione, ha fatto scaturire la globalizzazione, ma nello stesso tempo è la globalizzazione come prodotto della stesa civiltà postmoderna, come insieme di rapporti economici, di produzione, di scambio.

E' tuttavia pure avendo il postmoderno generato la globalizzazione, come formazione di una nuova civiltà, è difficile dire se il feedback di questa relazione sia ancora postmoderna. Oggi siamo nella fase in cui è la globalizzazione, come prodotto della condizione postmoderna, che deve esprimere la sua influenza sulla società stessa, ed in questo senso il quadro culturale potrebbe cambiare nuovamente in base alla risposta di feedback.

La cultura intesa come condizone del sapere genera gli elementi per l'affermazione di una civiltà concreta. Questa civiltà concreta produce degli atti e istituisce degli enti che modificano la cultura , intesa come condizione del sapere.

Ecco perchè per comprendere la globalizzazione è necessario comprenderne la premessa culturale, come condizione del sapere che è il postmoderno. E questo vale soprattutto per gli economisti, specie per quelli che si occupano di finanza e di commercio internazionale, oltre che di economia pubblica, che considerano nell'analisi economica e matematica, la variabile fondamentale costituita dall'esistenza di una civiltà egemonica che influenza lo stato del mercato, che cioè impone delle scelte, che in un certo senso comprime la libertà di scelta degli operatori del mercato. Una sorta di coscienza che interviene nelle scelte dell'homo oeconomicus e fa apparire più razionali talune scelte piuttosto che altre.

Si tratta di una consideraizone che può forse essere meglio compresa con riferimento ad altre epoche storiche, e ad altre condizioni politiche, economiche e culturali.

Per fare un esempio è come se si volesse analizzare il sistema economico sovietico , o il capitalismo, senza comprenderne la premessa culturale , vale a dire la condizione del sapere in quel contesto economico, che delinea un certo rapporto tra lo Stato ed il mercato, tra le imprese , le banche, gli enti pubblici e le scelte dei consumatori, dei lavoratori, dei risparmiatori. Tale variabile viene considerata , sia macroeconomicamente, come dominio esistenziale della funzione economica, che microeconomicamente, come risultante di un processo di analisi empirico e induttivo. Logicamente in modo univoco e matematicamente per il tramite di diversi percorsi, si giunge alla stessa scoperta, all'ammissione dell'esistenza di una variabile costituita dalla condizione del sapere , poichè questa incide a tutti i livelli sull'economia.

E allora con riferimento al sistema sovietico si dirà che esso è scaturito dal comunismo, dal marxismo-leninismo e dalle sue successive trasformazioni. In modo analogo per il capitalismo si dirà che esso sorge dalla premessa moderna del liberalismo, in tutte le sue diverse interpretazioni, dell'individualismo e dalla specializzaione del lavoro e dalla divisione dell'esistente.


Per lo stesso motivo sia che si voglia considerare la globalizzazione macroeconomicamente, che volendo analizzarla microeconomicamente, si addiviene alla variabile culturale, che risponde alla seguente domanda:

qual'è l'idealtipo, il concetto, l'idea guida, consapevole o implicita, che spinge i soggetti ad operare seguendo talune modalità? A scegliere di investire in un certo settore, piuttosto che in un altro, a creare un certo tipo di impresa , di marketing, di prodotto, a volere certi rapporti di lavoro o a creare certe forme di investimento o di finanziamento, a delinare un certo rapporto tra leggi economiche del mercato, norme informali e leggi giuridiche dello Stato?

Ebbene la risposta a questa domanda è nella condizione culturale, cioè nel sapere, e nel caso della globalizzazione questa condizione è il postmoderno.

La ragione per cui la globalizzazione è governata dalla governance tecnostrutturale, informale, libertaria, totalizzante, che produce annichilimento dello Stato-nazione, abbattimento delle barriere territoriali, ridefinizone degli enti giuridici economici e sociali, ricchezza e nuova disparità, è nel posmtoderno che ha consentito questa metodologia di organizzazione dell'ordinamento della globalizzazione, postmoderno che tuttavia, la globalizzazione tende a superare.