venerdì 14 settembre 2007

La produzione di incertezza

Quello che accade relativamente all’incertezza e al pragmatismo è dovuto in parte ad una necessità di dominio dell’ambiente informativo ( quel complesso di informazioni esterne che sono a fondamento del rapporto con la realtà e che contribuiscono a formare i nostri pensieri o a cambiare la base dei nostri ragionamenti agendo sulle strutture della genesi razionale ) e in parte ad una tensione competitiva che vuole imitare tale posizione di dominio e che inevitabilmente finisce per rafforzare la stessa . Sicchè il capitalismo per il tramite del suo sistema informativo agisce sui cittadini, sui consumatori utilizzando una serie di stimoli e di imput che colpiscono gli aspetti più emozionali e più viscerali dell’uomo e ciò porta lo stesso a reagire immediatamente essendo iperstimolato con un costante cambiamento della sua struttura di pensiero e di priorità essendo guidato dall’impellenza che viene posta attraverso i vari livelli della comunicazione. In questo senso è vera la legge di Say con riferimento al mercato che cioè il mercato attraverso l’offerta mediata informativamente crea la propria domanda ( almeno fino ad un certo punto) e ciò è dimostrato dal fatto che soltanto le imprese pongono le priorità dell’agire comune e condiviso.

La razionalità, intesa come insieme di scelte coerenti e logiche nel tempo, ha perso la propria funzionalità tanto che essa è divenuta sinonimo di ideologia.

Sicchè ne deriva che avere una qualche idea precisa e ragionata, decontestualizzata, relativa per esempio all’assetto della società, a quello che lo stato dovrebbe o non dovrebbe fare, al modo in cui le imprese dovrebbero produrre, cioè alzare almeno un attimo lo sguardo dalla quotidianità mediata informaticamente e dominata dall’es sociale, significa necessariamente essere idealisti. E’ chiaro che il sistema si è formato sulla quotidianità e ha puntato poco sul suo valore per il futuro. Ma pensare al futuro e ad una società caratterizzata da valori condivisi razionali e non solo emotivamente ispirati a necessità di consumo, non significa essere ideologi, ma corrispondere ad un bisogno di civiltà, di continuità, di evoluzione. Significa rimuovere l’incertezza, o parte dell’incertezza legata alla visione del futuro e in questo senso cogliere le opportunità per la creazione e non per il depauperamento delle risorse e dei sistemi sociali a livello mondiale. Invertire l’asse del sistema che lega lo sviluppo dell’umanità al mondo e lo sviluppo delle società evolute rispetto al resto delle altre società, dove cioè si intende la ricchezza della civiltà umana come depauperamento dell’ambiente naturale, e la ricchezza di un gruppo sociale come depauperamento di tutti gli altri gruppi sociali. Pensare ad una idea di società dinamica che leghi positivamente l’umanità alla natura e i gruppi sociali tra loro significa avere una idea di civiltà che non è totalitarista ( o non lo è meno della società intesa come gioco a somma zero) ma che possa consentire agli uomini di vivere al di fuori del fango primordiale delle loro passioni di ricchezza ma pensare anche allo sviluppo futuro ordinato, illuminante e positivo.

In questo senso la politica economica come creazione di regole costitutive di una realtà oggettiva e condivisa è fondamentale non solo per la convivenza, ma anche per lo sviluppo dell’oltre capitalismo, poiché senza ricchezza di visioni umane, sociali, antropologiche, filosofiche, il capitalismo rischia di impoverirsi, di ripiegare su se stesso, di non avere le risorse umane per produrre il suo ulteriore cambiamento. Non bastano infatti le risorse naturali, e il capitale, ormai quelle ci sono a livello mondiale. Oggi quello che manca sono le idee. Le idee di società, le idee di evoluzione e il confronto tra queste che sia dialettico, dialogico e democratico.

domenica 9 settembre 2007

Economia: una scienza giustificazionista, un'arte presuntuosa o uno strumento a difesa della democrazia?

Quello che appare evidente nelle opere degli economisti del dopoguerra ( Gunnar Myrdal a Galbraith anche Chamberlin e tutti gli eterodossi) è la capacità da parte dell’economia di sviluppare pensieri di carattere sistematico al di fuori delle concezioni ortodosse relative al liberismo.

Il fatto che gli economisti debbano accettare necessariamente una impostazione metodologica è un fatto assolutamente illiberale e contrasta con la necessità di sviluppo della scienza e della conoscenza in generale, nonché con la crescita del capitalismo ed in generale dei sistemi economici che sono possibili. Il capitalismo infatti dovrebbe essere quanto più diversificato possibile dimodochè con un ricco corredo genetico possa resistere alle conseguenze destabilizzanti che esistono all’interno dello stesso come è dimostrato dalla storia economica.

Del resto l’analisi teorica in economia non è possibile in quanto se fosse pura e cioè atemporale non sarebbe utile ( e pertanto sarebbe antieconomica rientrerebbe cioè nell’ambito del pensiero utopico ) e del resto se non è pura è sempre in un certo qual senso influenzata dalla questione relativa alla ideologia o al sistema di pensiero dell’economista che vive una realtà storica determinata.

E’ questa infatti quello che rende impossibile fare dell’economia una vera e propria scienza , come la fisica e come la matematica,. Il fatto cioè che l’unica condizione esistenziale utile per l’economia ( l’unico dominio in cui fare esistere il sapere economico ) è la realtà storica determinata con i suoi profili istituzionali e collettivi. Non esiste una economia atemporale, non esiste una metafisica dell’ economia , una ontologia dell’economia, esiste solo una determinazione storica concreta che deve essere analizzata con tutti gli strumenti possibili e che deve essere fornire indicazioni predittive per il governo delle istituzioni pubbliche e private.

Affermiamo cioè che il metodo dell’analisi economica deve sempre prendere in considerazione le questioni relative all’economia come essa si manifesta onde evitare di creare un sistema ordinato di proposizioni il cui significato storico e politico sia irrilevante o peggio si presti a delle interpretazioni di carattere strumentale giustificazioniste nei confronti di nuove forme di schiavitù e di affermazione dell’uomo sull’uomo.

Gli economisti devono considerare gli aspetti storici e istituzionali in cui si sviluppa la dinamica economia e nell’ambito della stessa analizzare le questioni nella considerazione che la conoscenza è sempre foriera della civiltà e del progresso e che pertanto essa non può che muoversi nell’ambito del costituzionalismo e del riconoscimento dei diritti umani e della natura.
Solo in questo modo l’economia ha un senso come sapere. Altrimenti non è ascrivibile e non trova spazio nella concezione della conoscenza se non come la razionalità del relativismo assoluto.
Non tutti gli economisti sono convinti del fatto che l'economia debba essere una scienza.

Smith, per esempio, era invece molto interessato alle questioni di politica economica piuttosto che a pensare sistemi perfetti nel mondo dell’iperuranio.

Ricardo invece aumentò il grado di astrazione ed ebbe la pretesa di fare in modo che l’economia divenisse una scienza.

Ma domandiamoci.

Quando un fisico o un matematico realizzano un esperimento o pensano un sistema concettuale hanno una finalità di carattere politico? Vogliono colpire una qualche classe sociale? Mettere in discussione un potere economico?

La risposta a questa domanda potrebbe essere sia si che no. Alcuni scienziati certo hanno utilizzato la scienza per finalità politiche. Ma molti altri no. Si parla appunto di ricerca pura, di pura speculazione, di vera scienza.

Nell’economia la pura speculazione non esiste.

E lo stesso Ricardo, che pretendeva di fare dell’economia una scienza, lo ha dimostrato. La sua analisi della rendita e le sue conclusioni relative al fatto che la classe dei proprietari terrieri incamerava più reddito di quanto ne meritasse, era posta in chiave classista. Egli difendeva gli imprenditori della nuova borghesia industriale e per fare questo si impegnò nel dimostrare che la rendita era ingiustificata di modo che i redditi fluissero copiosi verso gli imprenditori e fossero così sottratti ai proprietari. Soluzione: liberismo così avendo più libertà di usare il capitale per comprare le terre gli imprenditori avrebbero potuto sconfiggere socialmente i proprietari terrieri.

E Marx usò la stessa logica per affermare lo stesso rapporto ma cambiando i soggetti. Non più i proprietari si appropriavano del reddito degli imprenditori, ma questi ultimi si appropriavano del reddito dei lavoratori. Soluzione: rivoluzione comunista così i lavoratori si riappropriano di quanto gli imprenditori hanno loro sottratto.

E così via fino ai giorni nostri.

L’economia dunque è sempre determinata storicamente e orientata politicamente e per questo non può essere una scienza.
Essa tuttavia può costituire un baluardo di conoscenza a presidio della civiltà dei diritti umani e della natura.
In questo senso l’economia può affermare a livello globale la democrazia e lo sviluppo dell’umanità.